venerdì 15 gennaio 2021

Ascanio

Ascanio Ascani di Torresecca osservò incredulo lo schermo del portatile: se avesse voluto, avrebbe potuto acquistare un biglietto della Singapore Airlines per volare da Malpensa ad Auckland. Tutte le altre cinque compagnie aeree con cui aveva provato a prenotare un volo con la stessa destinazione gli avevano negato la possibilità, indicando in vario modo che la pandemia la escludeva da quelle raggiungibili.



Scrollò la testa e chiuse il computer: non era in grado di intraprendere il viaggio, di raggiungere il luogo ardentemente desiderato come ultima meta, il più bello visto in tutta la sua vita, quello dove, se solo avesse potuto, avrebbe chiuso il percorso, posto fine a una vita alla quale si risvegliava ogni giorno con il desiderio di concluderla.

Si alzò dal divano e raggiunse la camera da letto per prendere un maglione più pesante. Camminava lentamente, a fatica, incerto sulle gambe cui la testa stentava a dare ordini, come accadeva ormai per gran parte del giorno. Le difficoltà nel movimento non lo avrebbero fermato: voleva uscire per fare la spesa, un compito che non avrebbe affidato a nessuno. Nel momento in cui si fosse reso conto di dover dipendere da qualcuno per le esigenze quotidiane, in quel momento si sarebbe ucciso. E, sia pure con qualche rimpianto, non lo avrebbe fatto a Te Anau, dove, consapevole che era sciocco, fantasticava da mesi di compiere il rito finale.

Aprì l’armadio e osservò i due abiti che conteneva, grigi e poco diversi tra loro. Non li indossava da qualche anno. Fece scorrere le dita sulla manica di uno, scostandola dal fianco della giacca e vide apparire un foro non molto grande, meno di mezzo centimetro un po’ sopra la fila di quattro bottoni. Sorrise nel vedere che le tarme non si erano fatte spaventare dai sacchetti di insetticida ed avevamo rosicchiato un passato per cui Ascanio non provava nessuna nostalgia. Non lo avrebbe fatto neppure in assenza della malattia. Guardava avanti, comunque. A quel niente che restava.

Si concesse, però, di ricordare serenamente il tempo in cui, giorno dopo giorno, aveva indossato completi così simili uno all’altro, accompagnati da camicie non meno discrete e da cravatte di Hermes, mai vistose, ma certo un tocco di ricercatezza, la sola nota che poteva attrarre attenzione nel suo abbigliamento sobrio, adeguato al suo ruolo all’interno della pubblica amministrazione, ma più ancora al suo nome e al suo modo di essere, discreto appunto, ma mai trascurato, dettato dal rispetto per gli altri che si manifestava prima di tutto attraverso il rispetto per se stesso.

Cambiato il pullover, lasciò la camera da letto e si preparò a uscire nella gelida mattina di quel gennaio, che la pandemia rendeva diverso da tutti quelli vissuti prima.

Come sempre evitò le strade più affollate per raggiungere le piazze centrali di B., dove avrebbe comperato il cibo necessario per un paio di giorni. Lo aveva fatto anche prima della pandemia, seguendo l’istinto che lo teneva lontano dalla folla, a maggior ragione lo faceva allora.

Davanti alla gastronomia c’erano un paio di persone in attesa di entrare. Ascanio chiese chi fosse l’ultimo in coda e si accostò a una colonna del portico, così da non disturbare il passaggio sullo stretto marciapiede, ma evitò di appoggiarvisi, anche se ne avrebbe tratto beneficio. 

Non dovette attendere molto, dopo una decina di minuti usciva dal negozio con il sacchetto in cui Antonella aveva accuratamente sistemato le vaschette di plastica con i cibi che aveva scelto, sperando che avrebbero saputo aiutarlo a vincere la difficoltà a mangiare.

Si avviò verso casa, consentendosi una variazione dal percorso più breve. Dentro di lui, ancora, qualcosa lo spingeva a mostrarsi vitale, a non cedere: un’istinto che lo stupiva, che lo infastidiva anche, perché s’incuneava sterile nel declino, lo negava quando più si faceva evidente e insopportabile.

Percorse la corta strada che conduceva da una ad altra delle tre piazze collegate tra loro nel cuore di B. e si fermò per qualche attimo a osservare la torre con orologio di fronte a lui, ammirandone la bellezza. Stava per incamminarsi nuovamente quando udì una voce di donna pronunciare il suo nome. Volse lo sguardo verso il punto da cui lo avevano chiamato e vide una signora che riconobbe subito, nonostante la mascherina. Le si avvicinò e la salutò augurandosi che lei percepisse il sorriso che le rivolgeva dietro la chirurgica che copriva gran parte del suo volto.

“Come sta, Professoressa Falconi? - disse dopo che lei ebbe ricambiato il saluto - Sono felice di vederla…”

“Anche per me è un piacere… Sto bene, per fortuna. Resisto agli anni e a questa inaudita malattia, Ascanio… Posso ancora chiamarla Ascanio?”

“Sì, certamente, Signora! - di nuovo le sorrise e sperò che lei se ne rendesse conto - Perché mai cambiare le buone abitudini… Mi dispiacerebbe molto se non lo facesse.”

Lei assentì senza dir nulla, ma anche il suo volto era sorridente. Ascanio intuì la domanda che lei si accingeva a porgli. Una domanda cui lui non desiderava rispondere e parlò così da evitarla.

“Mi dica di Lorenzo… come stanno lui, Federica e i bambini?”

“Stanno bene… lei non li sente, Ascanio?”

“Abbiamo smesso di scriverci da un paio d’anni… colpa mia - rispose. Era vero, con l’apparire della malattia aveva lasciato estinguersi, come quasi tutti gli altri, anche il rapporto con Lorenzo, figlio della professoressa e collega di lavoro emigrato in Canada dopo il secondo matrimonio - Sono contento che stiano bene… hanno la fortuna di vivere in un paese che probabilmente affronta il problema meglio di noi…”

“Sì… lo penso anch’io, ma è triste… questa pandemia mette a dura prova le istituzioni e le persone…”

Ascanio annui e ancora sorrise: il tono e le parole risvegliavano in lui il ricordo delle lezioni della Professoressa Falconi, sua insegnante di storia e filosofia al classico, ma c’era anche altro nel modo in cui lei aveva parlato.

“Se ricordo bene Guido ha sei anni e Stefania tre…”

“No, Guido ne ha compiuti sette il mese scorso, ma su Stefania ha ragione.”

La voce della professoressa gli parve cambiare ulteriormente e farsi più triste, così come lo sguardo dietro le lenti leggermente colorate di grigio degli occhiali da vista.

Ascanio comprese. La pandemia, in troppi casi, dilatava le distanze e le rendeva comunque incolmabili, impedendo di vivere gli affetti più preziosi, come quelli di una nonna e dei nipoti, privati della gioia di compiere insieme alcuni dei passi pur diversi delle loro vite. E di guardarsi mentre lo facevano.

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