Gilberto Ascani di Torresecca aprì gli occhi lentamente, cercando di
mettere ordine nei suoni che lo avevano risvegliato. Riconobbe la voce
di Juanita e intuì a chi erano rivolti i rimproveri ripetuti con un tono
appena più alto di quello abituale e sempre con una nota di dolcezza.
Sorridendo si alzò dall’amaca, si avvicinò al mobile alla sua sinistra e
si chinò sulla bacinella piena d’acqua accanto al fornello. Stava
ancora lavando il volto quando udì la porta aprirsi e il suono di corti
passi leggeri e veloci che si avvicinavano. Le sue gambe vennero strette
in un abbraccio deciso e avvertì il contatto con un viso bagnato di
lacrime, che attraversavano la tela consumata dei calzoni inumidendogli
la pelle.
“Perché piangi e strilli così, Rebeca? - domandò Gilberto
dopo aver passato frettolosamente sul viso uno straccio. Si chinò e
sollevò a fatica la bambina avvinghiata a lui. Passò piano le dita sugli
occhi di lei per asciugarli e sorrise - Che sarà mai successo per farti
disperare in questo modo?”
Rebeca tirò su con il naso e scrollò la testa, guardando incredula Gilberto, stupita che non avesse già compreso tutto.
“Tornare a scuola non è così grave, Rebeca - disse lui passando piano
le dita tra i folti capelli neri. Si costrinse a non piegare la testa
all’indietro, come l’istinto lo avrebbe indotto a fare per compensare la
presbiopia che gli impediva di distinguere nitidamente il volto della
bambina - Troverai le maestre e i compagni dello scorso anno… Avevi
molti amici, ricordi?”
“Io non voglio tornare in città!”
“Devi
stare in città solo per poche ore al giorno… un piccolo sforzo per
imparare cose nuove… Ci aspettano altre letture e altre operazioni. Non
vorrai che io passi le mie giornate disteso sull’amaca a far niente. Che
ne sarebbe di me se tu non mi aiutassi a imparare le cose che ho
dimenticato tanto tempo fa?”
“Cosa dici? Sei tu che aiuti me, Gilberto!”
“Ne sei sicura? Non credo di averti insegnato nulla…”
A Gilberto parve di cogliere un cambiamento di espressione nel volto
della bambina, anche se non era affatto sicuro di ciò che vedeva
attraverso i suoi vecchi occhi.
“Davvero ti ho aiutato a imparare
qualcosa? - domandò Rebeca con una nota di allegria nella voce tornata
sicura - Non mi stai prendendo in giro, Gilberto?”
“Ti ho mai presa in giro, Rebeca?”
Lei non disse nulla, ma scrollò piano la testa. Lui sorrise e si chinò
con cautela, liberandosi delicatamente dal suo abbraccio e del suo peso,
cercando di non lasciar trasparire quanto doloroso fosse stato per la
schiena tenerla in braccio per pochi minuti.
Solo allora si rese
conto dell’ombra proiettata sul pavimento dalla donna che li osservava
dalla soglia della porta. Girò lo sguardo verso di lei e sorrise a
Juanita, nei cui occhi intuiva gratitudine. Tornò a guardare Rebeca e le
tese la mano destra, che lei strinse senza esitazione, pronta a
lasciarsi guidare da lui verso ciò a cui, pochi minuti prima, aveva
desiderato sottrarsi.
“Dai la mano alla mamma, Rebeca.”
Erano
lentamente arrivati alla porta della baracca e Gilberto non si sentiva
sicuro di poter affrontare neppure l’aria ancora tiepida del primo
mattino, arrossata dal sole che appariva da dietro il vulcano.
La
bambina lo guardò attentamente, allungò la mano destra verso la madre,
ma non lasciò la presa attorno a quella di Gilberto, quindi mosse un
passo verso l’esterno. Lui inspirò a fondo e si lasciò guidare da Rebeca
sugli scalini che portavano al prato ancora umido di rugiada che bagnò i
loro piedi nudi.
Impiegarono parecchi minuti per coprire la breve
distanza fino alla strada accanto alla quale già erano in attesa della
corriera altri tre bambini. Gilberto fece uno sforzo per restare in
piedi accanto a Rebeca, resistendo al bisogno di lasciarsi scivolare a
terra per sedersi. Con sollievo udì il rumore del motore che proveniva
dalla foresta e annunciava l’avvicinarsi del vecchio autobus giallo che
collegava a Granada i villaggi distesi sul pendio del vulcano.
S’impose di restare in piedi sul ciglio della strada anche quando Rebeca
fu salita sulla corriera e questa si allontanò a bassa velocità sullo
sterrato, lasciando dietro di sé una scia polverosa, segno che il sole,
ormai apparso interamente nel cielo, aveva già asciugato l’umidità della
notte tropicale.
“Andiamo, Gilberto?”
La voce di Juanita lo
indusse a distogliere lo sguardo dal veicolo. Mosse piano la testa e si
appoggiò al braccio che lei gli offriva.
Rientrato nella baracca si
fermò esitante poco oltre la porta. A fatica resistette al desiderio che
si era affacciato prepotente dentro di lui nel camminare accanto a
Rebeca verso la strada. Si avvicinò al fornello e mise la caffettiera
già pronta sul fornello a gas. Mangiò due biscotti masticando lentamente
e, quando il caffè fu pronto, riempì la tazza scheggiata e,
stringendola tra le mani, si avvicinò alle mensole su cui aveva disposto
ordinatamente i libri. Era felice di non aver ceduto subito alla
propria ansia: appagare il bisogno suscitato dall’irruzione di Rebeca
sarebbe stato anche più bello.
Mise gli occhiali, allungò la mano
con sicurezza e prese la vecchia edizione de “Il buio oltre la siepe”.
L’aprì e trovò facilmente il capitolo che cercava. In piedi si concesse
infine il piacere di rileggere le pagine di Harper Lee in cui era
descritta la ribellione di Scout nel suo primo giorno di scuola.
Nessun commento:
Posta un commento