domenica 16 ottobre 2016

Gilberto

Gilberto Ascani di Torresecca aprì gli occhi lentamente, cercando di mettere ordine nei suoni che lo avevano risvegliato. Riconobbe la voce di Juanita e intuì a chi erano rivolti i rimproveri ripetuti con un tono appena più alto di quello abituale e sempre con una nota di dolcezza.

Sorridendo si alzò dall’amaca, si avvicinò al mobile alla sua sinistra e si chinò sulla bacinella piena d’acqua accanto al fornello. Stava ancora lavando il volto quando udì la porta aprirsi e il suono di corti passi leggeri e veloci che si avvicinavano. Le sue gambe vennero strette in un abbraccio deciso e avvertì il contatto con un viso bagnato di lacrime, che attraversavano la tela consumata dei calzoni inumidendogli la pelle.
“Perché piangi e strilli così, Rebeca? - domandò Gilberto dopo aver passato frettolosamente sul viso uno straccio. Si chinò e sollevò a fatica la bambina avvinghiata a lui. Passò piano le dita sugli occhi di lei per asciugarli e sorrise - Che sarà mai successo per farti disperare in questo modo?”
Rebeca tirò su con il naso e scrollò la testa, guardando incredula Gilberto, stupita che non avesse già compreso tutto.
“Tornare a scuola non è così grave, Rebeca - disse lui passando piano le dita tra i folti capelli neri. Si costrinse a non piegare la testa all’indietro, come l’istinto lo avrebbe indotto a fare per compensare la presbiopia che gli impediva di distinguere nitidamente il volto della bambina - Troverai le maestre e i compagni dello scorso anno… Avevi molti amici, ricordi?”
“Io non voglio tornare in città!”
“Devi stare in città solo per poche ore al giorno… un piccolo sforzo per imparare cose nuove… Ci aspettano altre letture e altre operazioni. Non vorrai che io passi le mie giornate disteso sull’amaca a far niente. Che ne sarebbe di me se tu non mi aiutassi a imparare le cose che ho dimenticato tanto tempo fa?”
“Cosa dici? Sei tu che aiuti me, Gilberto!”
“Ne sei sicura? Non credo di averti insegnato nulla…”
A Gilberto parve di cogliere un cambiamento di espressione nel volto della bambina, anche se non era affatto sicuro di ciò che vedeva attraverso i suoi vecchi occhi.
“Davvero ti ho aiutato a imparare qualcosa? - domandò Rebeca con una nota di allegria nella voce tornata sicura - Non mi stai prendendo in giro, Gilberto?”
“Ti ho mai presa in giro, Rebeca?”
Lei non disse nulla, ma scrollò piano la testa. Lui sorrise e si chinò con cautela, liberandosi delicatamente dal suo abbraccio e del suo peso, cercando di non lasciar trasparire quanto doloroso fosse stato per la schiena tenerla in braccio per pochi minuti.
Solo allora si rese conto dell’ombra proiettata sul pavimento dalla donna che li osservava dalla soglia della porta. Girò lo sguardo verso di lei e sorrise a Juanita, nei cui occhi intuiva gratitudine. Tornò a guardare Rebeca e le tese la mano destra, che lei strinse senza esitazione, pronta a lasciarsi guidare da lui verso ciò a cui, pochi minuti prima, aveva desiderato sottrarsi.
“Dai la mano alla mamma, Rebeca.”
Erano lentamente arrivati alla porta della baracca e Gilberto non si sentiva sicuro di poter affrontare neppure l’aria ancora tiepida del primo mattino, arrossata dal sole che appariva da dietro il vulcano.
La bambina lo guardò attentamente, allungò la mano destra verso la madre, ma non lasciò la presa attorno a quella di Gilberto, quindi mosse un passo verso l’esterno. Lui inspirò a fondo e si lasciò guidare da Rebeca sugli scalini che portavano al prato ancora umido di rugiada che bagnò i loro piedi nudi.
Impiegarono parecchi minuti per coprire la breve distanza fino alla strada accanto alla quale già erano in attesa della corriera altri tre bambini. Gilberto fece uno sforzo per restare in piedi accanto a Rebeca, resistendo al bisogno di lasciarsi scivolare a terra per sedersi. Con sollievo udì il rumore del motore che proveniva dalla foresta e annunciava l’avvicinarsi del vecchio autobus giallo che collegava a Granada i villaggi distesi sul pendio del vulcano.
S’impose di restare in piedi sul ciglio della strada anche quando Rebeca fu salita sulla corriera e questa si allontanò a bassa velocità sullo sterrato, lasciando dietro di sé una scia polverosa, segno che il sole, ormai apparso interamente nel cielo, aveva già asciugato l’umidità della notte tropicale.
“Andiamo, Gilberto?”
La voce di Juanita lo indusse a distogliere lo sguardo dal veicolo. Mosse piano la testa e si appoggiò al braccio che lei gli offriva.
Rientrato nella baracca si fermò esitante poco oltre la porta. A fatica resistette al desiderio che si era affacciato prepotente dentro di lui nel camminare accanto a Rebeca verso la strada. Si avvicinò al fornello e mise la caffettiera già pronta sul fornello a gas. Mangiò due biscotti masticando lentamente e, quando il caffè fu pronto, riempì la tazza scheggiata e, stringendola tra le mani, si avvicinò alle mensole su cui aveva disposto ordinatamente i libri. Era felice di non aver ceduto subito alla propria ansia: appagare il bisogno suscitato dall’irruzione di Rebeca sarebbe stato anche più bello.
Mise gli occhiali, allungò la mano con sicurezza e prese la vecchia edizione de “Il buio oltre la siepe”. L’aprì e trovò facilmente il capitolo che cercava. In piedi si concesse infine il piacere di rileggere le pagine di Harper Lee in cui era descritta la ribellione di Scout nel suo primo giorno di scuola.

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