martedì 1 novembre 2016

Aurora

Aurora Ascani di Torresecca sollevò per la seconda volta lo sguardo dal libro e seguì il flusso di luce più intensa che illuminava il pavimento davanti alla scrivania: la nebbia sembrava finalmente diradarsi.
Quando si trovò a fissare l’arco del portico oltre le vetrate, si rese conto, però, che la coltre si era già richiusa e che il sole era di nuovo solo una macchia appena più chiara nella massa lattea distesa sulla campagna. Guardò l’orologio e scrollò appena la testa con rassegnazione. Erano passate da poco le undici e, ormai, era inutile aspettarsi che il sole l’avesse vinta.
Prese il segnalibro, lo sistemò con cura tra le pagine ingiallite e chiuse il libro alzandosi in piedi. Fissò i cani che giacevano addormentati uno addossato all’altro, corpi quasi perfettamente arrotolati su sé stessi che si muovevano appena al ritmo del respiro calmo.
Pezza fu la prima a rendersi conto che Aurora si era mossa. Si allungò sul pavimento per stiracchiarsi, immediatamente imitata dagli altri due. Pochi istanti dopo iniziarono a girarle attorno sbattendo la coda, consapevoli che era arrivato il momento della passeggiata mattutina nei campi.
Una volta usciti di casa, mentre ancora Aurora infilava gli stivali di gomma, i tre cani corsero verso il cancello abbaiando allegramente. Li seguì sorridendo, felice della loro felicità, pur non riuscendo a liberarsi dei timori abituali in giornate come quella.
Avrebbe preferito che la nebbia si fosse alzata, così da poterli vedere quando sarebbero stati all’esterno, dove poteva ancora esserci qualche cacciatore con i propri cani. 
Aurora considerava un sopruso inaccettabile che la sua proprietà potesse essere percorsa liberamente da chiunque, armato di un fucile, andasse alla ricerca di un fagiano, di un colombaccio o di una lepre da predare. E le impedisse con la sua presenza di godere liberamente i suoi terreni in compagnia dei suoi cani. Inutile, però illudersi di cambiare le cose: quella era solo una delle numerose prove che i politici italiani non esitavano a sacrificare i diritti di molti pur di ottenere il consenso di pochi, soprattutto se prepotenti.
Stringendosi nelle spalle tirò fuori le chiavi dalla tasca del giaccone e aprì il cancello, lasciando che Pezza, Daisy e Astro si lanciassero verso la capezzagna che attraversava da nord a sud la tenuta.
Chiuso il cancello, Aurora accelerò il passo, guardando davanti a sé, sforzandosi per distinguere le forme dei cani che si rincorrevano già abbastanza distanti da lei, tanto che faticava a scorgerli.
Camminò per qualche minuto prima di fischiare alcune volte e chiamare Pezza, la più pronta a obbedire ai suoi comandi. Uno dopo l’altro i cani la raggiunsero per farsi accarezzare e poi lanciarsi nuovamente di corsa sull’erba umida che ricopriva la capezzagna, una traccia verde e luccicante accanto alla terra bruna.
Resistette al desiderio di richiamarli ancora, consapevole che non poteva privarli del piacere di correre, di annusare, di giocare, di saltare un fosso, di godere di una libertà ignota a tanti loro simili.
Erano trascorsi una ventina di minuti dal momento in cui erano usciti di casa quando, attraverso la nebbia, arrivarono un po’ attutiti i rintocchi delle campane della chiesa. Aurora rabbrividì rendendosi conto che annunciavano la morte di uno degli abitanti del piccolo paese. Solo da pochi anni aveva saputo che, nel momento in cui giungeva in canonica la notizia della morte di uno dei parrocchiani, tutti venivano informati in quel modo, così che il lutto di alcuni divenisse un dolore e un momento di preghiera collettivi.
Aurora non si considerava, e non era considerata, un membro della comunità come gli altri. Non era nata lì, non aveva parenti e neppure amici in paese. Ciò non le impediva di essere trattata con cortesia e anche con simpatia, forse anche perché lei era sempre stata gentile, disponibile, evitando istintivamente di creare qualsiasi barriera, adeguandosi alle semplici regole dei suoi concittadini.
Si ritrovò a chiedersi chi fosse la donna o l’uomo che le campane salutavano con quei suoni tristi e monotoni. Sapeva di qualcuno che combatteva da tempo con la malattia o con il peso degli anni, ma certo non era in grado di dire di chi venisse annunciata la morte.
Il riaffacciarsi del sole tra la nebbia la distolse da questi pensieri. Alzò lo sguardo e sorrise rendendosi conto che, finalmente, la spessa coltre si andava sollevando, vinta dal calore tenue del sole dei giorni tristi di Novembre. 
In pochi minuti ritrovò davanti a sé, finalmente nitido, il panorama delle sua terra e un senso di sollievo si diffuse in lei. Richiamò i cani solo per dividere con loro quel momento, accarezzandoli e lasciando che le leccassero le mani e il volto, quindi li invitò a riprendere le loro corse, restando ferma a guardarli mentre si inseguivano.
Trascorsero almeno dieci minuti prima che Pezza segnalasse la propria stanchezza allontanandosi dagli altri due per raggiungere Aurora. Astro e Daisy la imitarono poco dopo.
Iniziarono a percorrere insieme il tragitto verso casa. Alla loro sinistra, a circa un paio di chilometri, tra le volute di vapore che si sollevava dalla terra umida, Aurora scorgeva il parco della grande villa al centro del paese e la sommità del campanile che spuntava tra gli alberi più alti, ancora non completamente privi di foglie, così che si stagliavano nel cielo grigio in un combinarsi di tonalità di rosso, di giallo, di marrone e di arancio.
Molti anni prima, quando Aurora aveva lasciato il mondo finanziario e aveva deciso di trasferirsi nella campagna a sud di B., la villa era in vendita e lei avrebbe potuto facilmente acquistarla con la notevole ricchezza accumulata negli anni trascorsi a New York. Aveva, tuttavia, preferito comprare l’azienda agricola con il rustico in cui si era trasferita non appena terminati i lavori di restauro.
Lasciò la memoria ritornare a quei momenti lontani, ripercorrendo senza particolare emozione i passaggi attraverso i quali aveva trasformato se stessa e imparato in fretta tutto quel che era necessario per svolgere al meglio la nuova attività. Continuò a pensare al passato anche mentre, prima di rientrare in casa, asciugava i cani e puliva con cura le zampe sporche di fango.
Quando fu nello studio si avvicinò alla libreria che ospitava la raccolta di cd e trovò in pochi secondi quello che cercava.
Raggiunse la scrivania e inserì il disco nel lettore, selezionando il brano che intendeva ascoltare. Le voci malinconiche si diffusero lentamente nella stanza seguendo l’armonia semplice immaginata da Aarvo Pärt per il suo De Profundis. Aurora ascoltò il brano in piedi, osservando la terra scura illuminata dal sole. Sembrava riposare, rinnovare le forze, predisporsi a nutrire i semi che avrebbe accolto a primavera.

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