domenica 8 gennaio 2017

Florence

Florence Ascani di Torresecca si alzò per sparecchiare il piccolo tavolo. Gilberto la indusse a fermarsi alzando appena la mano destra. Servendosi delle dita, con lenti movimenti meticolosi, raccolse le briciole di panettone rimaste sul proprio piatto e le portò alla bocca con gusto.

La giovane lo osservò per un attimo, poi si volse verso Ginevra, seduta di fronte al fratello. Bastò che i loro sguardi s’incontrassero per condividere la soddisfazione suscitata dal piacere vagamente infantile con cui Gilberto consumava anche le ultime tracce della cena di Capodanno che avevano allestito nella baracca.
“Ne vuoi un’altra fetta? - domandò Florence pur conoscendo la risposta - Te ne taglio una piccola, Gilberto…”
“No, grazie - rispose lui con voce ferma, ma dolce - Ho mangiato in poche ore più di quanto io mangi in una settimana.”
Florence intuì nelle parole dello zio ben più della preoccupazione per i problemi che avrebbe potuto avere nel digerire le pur leggere portate allestite dalla cucina dell’albergo di Granada in cui lei e Ginevra alloggiavano dal giorno precedente.
Si mise a sedere, un po’ irritata per la propria insistenza con l’uomo pacato, ma deciso al quale Ginevra aveva deciso di presentarla proprio in occasione della fine dell’anno. Un anno che aveva impresso un segno profondo nelle vicende degli Ascani di Torresecca, la famiglia che Florence già considerava senza sforzo, quasi istintivamente, la sua.
Socchiuse gli occhi, così da scorgere appena il chiarore tenue sparso nella stanza dalle lampade a gas, e ripensò al Capodanno precedente, trascorso a San Francisco con Filiberto, l’ultima vacanza vissuta insieme al padre. Ne avvertiva la mancanza, un vuoto profondo che andava ben oltre l’assenza nella vita quotidiana, che con lui aveva condiviso a lungo nell’ufficio di Montecarlo. La morte del padre, inevitabilmente, aveva impoverito anche le sue passioni per la musica, per la lettura, per l’arte. Ginevra stava pian piano prendendone il posto, ma non avrebbe mai potuto sostituire interamente Filiberto e non solo perché erano troppo diversi i caratteri e i gusti, l’intensità e le manifestazioni dei sentimenti, il modo di guardare le persone e le cose.
Nutriva affetto e riconoscenza per Ginevra, le piaceva dividere buona parte della sua vita con lei, ma inevitabilmente al loro rapporto, che la vendetta consumata insieme rendeva indissolubile, quasi viscerale, mancava e sarebbe sempre mancata la lenta maturazione di quello con Filiberto.
A modo suo, era stato un padre presente anche nel periodo in cui Florence aveva vissuto con la madre e le sue apparizioni erano state poco frequenti. Quando aveva iniziato a capire, pur non avendo la certezza, che lui era suo padre, quasi senza avvedersene, aveva cercato di assorbirne gli interessi e le convinzioni, così da prepararsi all’incontro successivo, ansiosa di ottenere più attenzione e più approvazione di quanto lui già le riservava.
Prese il bicchiere che conteneva ancora un po’ di champagne. Non era certo quello raro, ricco di profumi e aromi inebrianti, consumato con Filiberto dodici mesi prima, ma Florence, oltre a sapersi adattare alle circostanze, non avrebbe dato importanza a un dettaglio trascurabile, che non scalfiva la gioia di essere con lo zio e con la madre adottiva, due persone verso le quali nutriva affetto intenso, anche sorprendente nel caso di Gilberto, incontrato solo poche ore prima, ma già familiare grazie alle descrizioni di Ginevra e di Aurora, assai legate al fratello cui la sorte aveva riservato un percorso del tutto diverso da quello degli altri componenti della famiglia.   
“Adesso fumerò uno dei sigari che mi hai regalato, Florence - annunciò Gilberto alzandosi lentamente in piedi - Magari lo farò fuori… Venite con me, per favore… Non è necessario che mettiate in ordine.”
Aperta la giara di ceramica color avorio, ne estrasse uno degli Avana e lo studiò a lungo rigirandolo tra le dita, apprezzando le tenui venature della fascia di colore più caldo e dorato e più lucida di quelle dei sigari prodotti a pochi chilometri di distanza.
“Hanno un profumo straordinario… non saprei dire quanto tempo è passato da quando ho fumato un sigaro cubano per l’ultima volta… - disse tenendo la punta del sigaro accostata al naso - Fu durante la guerra con i Contras. Da Cuba non arrivavano soltanto armi.”
Florence lo osservò stupita: nelle ore trascorse con loro, Gilberto non aveva mai fatto riferimento al passato. Anche quando sarebbe parso impossibile, lui era riuscito a evitarlo e si era sottratto con lucidità a ogni tentativo di Ginevra di indurlo a parlare degli anni vissuti alla macchia insieme ad Amparo. Con fermezza, ma dolcemente, aveva respinto gli assalti della sorella a quella parte della sua vita il cui ricordo aveva deciso di proteggere dalla curiosità di chiunque, serbandolo solo per sé.
Florence attese che Gilberto spuntasse il sigaro e lo accendesse, quindi gli offrì il braccio per compiere insieme a lui il breve tragitto dal tavolo alla porta della baracca.
“Sigari cubani e champagne francese… - Gilberto lasciò che la frase si spegnesse in un lungo momento di silenzio, quindi, sorridendo a Florence, continuò - Piaceri insignificanti di fronte all’emozione che ho provato nel conoscerti e nel parlare con te…Tuo padre ed io eravamo molto legati da ragazzi… In realtà, ero molto legato a tutti i miei fratelli, anche ad Ascanio…”
“Mi pare che tu lo sia tuttora…”
“E’ vero… - ancora Gilberto tacque per alcuni istanti, poi riprese a parlare lentamente e a bassa voce, quasi con riluttanza - Di questo dobbiamo essere grati al destino che da tanti anni ci tiene lontani.”
Gilberto accennò a un sorriso e lentamente sedette sul gradino più alto della scala che portava all’orto, illuminato dalla luna piena.

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