domenica 6 maggio 2018

Gilberto

Gilberto Ascani di Torresecca riaprì gli occhi dopo un lungo momento di torpore. Trascorsi alcuni istanti, prese tra le mani l’iPad. Nel riattivarlo si scoprì a sorridere e a scuotere la testa, ancora sconcertato dalla confidenza ottenuta in poco tempo con il dono degli abitanti del villaggio.

A consegnare la bianca scatola, racchiusa da un nastro dorato, era stata Rebeca, scelta con la certezza che Gilberto non avrebbe respinto un regalo affidato alle mani della bambina. E, infatti, lo aveva accettato e si era fatto aiutare da lei ad aprirlo e, soprattutto, a far funzionare quel piatto aggeggio che lo trascinava in un mondo di cui, sino a pochi mesi prima, aveva solo percepito, anche con disagio, l’esistenza.
Non si era trattato di una sorpresa. Gilberto si era reso conto che il suo apparire aveva interrotto alcune conversazioni degli abitanti del villaggio quando, un paio di mesi prima, lui come gli altri, era uscito spesso per osservare i tecnici che, nel volgere di una settimana, avevano innalzato un pilone di cemento sormontato da due antenne rettangolari e piazzato ai suoi piedi un armadio metallico collegato ad alcuni pannelli fotovoltaici orientati a mezzogiorno.
Lui, diversamente dagli altri abitanti, aveva seguito quelle operazioni con poca curiosità e ancor meno ansia, ma tuttavia attento alla qualità dei lavori, il cui il costo aveva saldato in anticipo.
Portare una potente connessione alla rete era stato il secondo dono fatto al villaggio attingendo alla sua quota dell’eredità di Filiberto, accettata solo in seguito alle pressioni esercitate da Ginevra e da Florence nel corso delle loro due visite. Inizialmente aveva opposto un rifiuto, ma poi la sorella e la nipote avevano saputo servirsi dell’argomento più solido: la possibilità di usare il denaro per migliorare le condizioni di vita del villaggio in cui si era stabilito da quasi trent’anni.
Prima di sostenere la spesa per dare un migliore accesso a internet, Gilberto aveva voluto acquistare un nuovo autobus per trasportare i bambini e i ragazzi alle scuole di Granada, un mezzo più sicuro e più confortevole di quello che, preoccupato, aveva osservato tante volte percorrere la strada polverosa verso la città.
A Gilberto era parso che quella corriera luccicante, con comodi sedili e grandi finestrini azzurri fosse il modo migliore per consentire ai più giovani abitanti del suo villaggio di entrare in contatto con il mondo. Certo più adeguato, nel suo modo di vedere, della possibilità di utilizzare telefoni e computer. E aveva cercato, con l’ostinazione innata che il tempo aveva solo in parte attenuato, di resistere alle pressioni di Juanita, di Rebeca e dei pochi altri che, nel corso degli anni, avevano cercato e ottenuto la sua confidenza.
Alla fine la sua riluttanza si era dissolta, sbriciolata dalla caparbietà di Rebeca, che in un pomeriggio domenicale, anziché giocare con le amiche, si era seduta accanto all’amaca e aveva mostrato a Gilberto come, attraverso la rete, fosse possibile leggere articoli di giornale, libri, ascoltare musica, scambiare opinioni con persone a migliaia di chilometri di distanza dalle pendici del Mombacho.
In realtà, Rebeca gli aveva mostrato cose che a Gilberto avevano già in parte spiegato Aurora, Ginevra e Florence, ma le parole e la determinazione della bambina avevano scavato più profondamente in lui di quelle delle donne della sua famiglia.
Più che la volontà di svelargli come, in rete, potesse accedere ad articoli di giornali di ogni paese del mondo, così da migliorare la conoscenza del francese e dell’inglese che lui le aveva insegnato, o a testi che potevano soddisfare le sue tante curiosità, a convincerlo era stato il movimento nervoso delle dita di Rebeca sul tablet mentre le pagine si caricavano lentamente, costringendoli ad attendere anche parecchi minuti prima di accedere a quello che avevano deciso di leggere insieme.
Le dita della bambina che percuotevano la superficie consumata del tablet avevano fatto svanire le certezze di Gilberto: il mondo che, seguendo Amparo, aveva cercato di difendere, non esisteva più. Per comperare quell’oggetto ormai già obsoleto, Juanita e Manuel, i genitori di Rebeca, non avevano esitato a rinunciare a qualcosa, decisi a dare alla figlia uno strumento che lei avrebbe saputo usare per soddisfare la sua curiosità, la sua ansia di sapere, di conoscere il mondo che si stendeva oltre la foresta che circondava il villaggio. Così come non l’avevano ostacolata quando, ancor prima di iniziare a frequentare la scuola, Rebeca aveva visto in Gilberto la sola persona che poteva aiutarla a rispondere alle sue domande.
In lui era rimasto il dubbio, ultimo legame con il sangue versato da Amparo e dagli altri accanto ai quali aveva combattuto la guerra perduta. La perplessità di fronte a un mondo nel quale prevalevano non solo poteri, ma anche aspirazioni e comportamenti che loro avevano contrastato inutilmente. Proprio il fatto di non riuscire a farsi un’opinione riguardo alla realtà cui si era illuso di sottrarsi, tuttavia, lo aveva indotto ad assecondare le richieste di Rebeca e degli altri.

Così erano arrivati i furgoni degli operai, il camion con il traliccio, la betoniera che aveva versato il calcestruzzo per saldarlo al terreno scavato da una piccola ruspa e i tecnici che avevano installato le componenti elettroniche. E anche lui si era ritrovato tra le mani uno strumento che lo immergeva nel mondo dal quale si era illuso di potersi estraniare per sempre.

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