giovedì 19 novembre 2020

Gilberto

Gilberto Ascani di Torresecca scendeva lentamente sul fianco del vulcano, osservando la propria ombra che, pian piano, si faceva più lunga davanti a lui. Ormai il villaggio si trovava a neppure un chilometro di distanza. Poteva osservare e riconoscere le persone che si muovevano tra le baracche o che lavoravano accanto ad esse, prevalentemente donne, impegnate negli orti o a preparare ingredienti da cucinare per la cena.

Nella mente di Gilberto si affacciava inevitabilmente il ricordo di quando, per la prima e unica volta, aveva osservato quel medesimo panorama. Ormai erano trascorsi molti anni, quasi quaranta. Anni durante i quali non si era mai allontanato che pochi metri dalla propria baracca. Fino a quel mattino di novembre, quando aveva sentito il desiderio di ripercorrere almeno un breve tratto del sentiero salito per raggiungere la vetta del Mombacho, dove aveva trascorso poi numerosi giorni prima di abbandonare il desiderio di uccidersi, sostituendolo con quello di scendere al piccolo villaggio e ottenere che lo lasciassero vivere lì.
A spingerlo a compiere quella breve passeggiata, causa di tollerabile sofferenza, era stato il desiderio di condividere, se possibile, quella più intensa e definitiva di Ascanio, che sapeva avvicinarsi alla morte dalle conversazioni via internet e dalle mail che si scambiavano quotidianamente, decisi entrambi a mantenere vivo l’affetto rinato in maniera improvvisa dopo la lunga separazione, che non aveva evidentemente spento il legame tra loro.
Mettendo prudente un piede davanti all’altro per raggiungere casa, Gilberto immaginava Ascanio faticare nello stesso modo sui marciapiedi di B., sotto i portici dei vecchi palazzi del centro, nell’atmosfera segnata dall’epidemia, difficile da comprendere anche per chi la viveva quotidianamente, più che mai nell’immutata quotidianità di un villaggio del Nicaragua in cui il virus appariva un nemico irreale, quasi insignificante per chi serbava ancora fresco il ricordo della fatica della sopravvivenza quotidiana. Una prospettiva non sbiadita di fronte all’affacciarsi dei cambiamenti prodotti dalla generosità di Gilberto, che aveva portato alcune delle comodità altrimenti impensabili.
Nella baracca si rinfrescò il volto immergendolo nel catino pieno di acqua versata dalla tanica. Quel gesto lo indusse a pensare che, di lì a qualche settimana, sarebbero finiti i lavori per collegare il villaggio all’acquedotto e a chiedersi, come altre innumerevoli volte, se avesse preso la giusta decisione destinando gran parte dell’eredità di Filiberto allo scopo di portare nel villaggio alcune delle condizioni normali nelle città.
La gratitudine degli altri abitanti, talvolta, lo induceva a superare i propri dubbi. In quel momento, tuttavia, Gilberto faticava a liberarsene. Anche volendo, non avrebbe potuto impedirsi di ricordare gli anni vissuti alla macchia accanto ad Amparo insieme dai guerriglieri cui si erano uniti come da lei voluto.
Sapeva che non aveva senso confrontare nulla alla durezza di quella vita, tuttavia i ricordi facevano riemergere le perplessità riguardo alle conseguenze dei cambiamenti che aveva deciso di introdurre nel modo di vivere del villaggio, alcune delle quali era ancora impossibile valutare.
Lentamente raggiunse la sua amaca e prese dal tavolino l’iPad. Controllò la posta elettronica e con sollievo vide che non c’erano nuovi messaggi. Chiuse il collegamento e si adagiò più comodamente, allungando le gambe indolenzite e doloranti. Sorrise chiedendosi se avrebbe nuovamente affrontato la fatica di percorrere qualche chilometro nella foresta e rispondendosi che lo avrebbe fatto ancora, e non solo per quella sorta di solidarietà verso Ascanio di cui nessuno avrebbe avuto conoscenza.
Chiuse gli occhi e lasciò che nella mente si riaffacciassero le immagini di Amparo. Nella memoria si presentavano sia quelle dei momenti di intimità, nei quali avevano vissuto la dolcezza del loro amore, sia quelle delle durezze condivise con gli altri guerriglieri sia quelle della morte di lei, le più dolorose da ricordare soprattutto ora che il pensiero della morte era più che mai presente per le condizioni di Ascanio.
Amparo aveva lottato contro la morte. Ascanio si preparava a darsela per porre fine non tanto alla sofferenza quanto alla mancanza di vita causata dalla malattia.
Gilberto poteva capire lo stato d’animo del fratello. In modo diverso, anche lui aveva a lungo vissuto la propria esistenza come se già fosse morto. La perdita di Amparo l’aveva resa vuota, inutile, irragionevole, ma gli era mancato il coraggio di farla finita. Ad Ascanio non sarebbe mancato, di questo Gilberto era certo. Lo percepiva nelle telefonate e nelle lettere. Risolte alcune questioni che voleva affrontare e sistemare senza lasciare che fosse Aurora a occuparsene, se ne sarebbe andato, avrebbe, come diceva, “messo la sua vita in un sacco della spazzatura”.
Riaprì gli occhi, ansioso di liberarsi dell’immagine della testa di Ascanio avvolta dalla plastica nera.

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