domenica 20 dicembre 2020

Florence

Florence Ascani di Torresecca ridusse la velocità per osservare Hanging Rock che si avvicinava sulla sinistra: il sole del mezzogiorno primaverile lo illuminava così da far emergere le tonalità più chiare della pietra, ormai diventate per lei familiari, dato che vi tornava per la quinta volta in poche settimane, approfittando della libertà di movimento di cui beneficiava anche lei, come i residenti di Victoria.



A trattenerla a Melbourne, oltre alla relazione incerta, ma ancora intrigante con Derek e alle difficoltà, non proprio insormontabili, a tornare in Europa, contribuiva la possibilità di trascorrere le giornate nell’outback, immersa in una natura che esercitava su di lei un fascino intenso. Si sentiva accolta, quasi risucchiata dalle foreste di eucalipti e dal territorio che ancora non era stato trasformato in vigneti o in colture di altro genere. Vi si inoltrava a piedi con prudenza, timorosa di incontrare uno dei tanti letali abitanti nascosti nel sottobosco che andava seccandosi con il diradarsi delle piogge primaverili. 

In lei erano ancora vivi i ricordi del primo viaggio in Australia con il padre, quando avevano trascorso il giorno di Santo Stefano, Boxing Day, proprio a Hanging Rock. Li aveva accompagnati una guida turistica indicata dal concierge del Regent, una signora californiana trasferitasi a Melbourne con il matrimonio. Florence ne ricordava la simpatia, il garbo e il fascino discreto, che Filiberto aveva mostrato di apprezzare, flirtando con lei in maniera aperta e rispettosa, così da non metterla mai a disagio, ma, anzi, da favorire il crearsi tra loro di una piacevole confidenza che aveva reso più gradevoli le ore trascorse insieme. Si erano piaciuti, apertamente, senza possibilità di equivoci e men che meno di sfiorare il cattivo gusto. Il gioco tra un uomo e una donna, maturi e intelligenti, capaci di concedere alla propria attrazione reciproca il poco spazio che meritava, sfruttandolo per portare un piacevole fremito casto in una giornata altrimenti simile a troppe altre.

Tra i numerosi viaggi con il padre, Florence ricordava quello in Australia forse con maggiore emozione, sia perché avevano visitato luoghi di rara bellezza sia perché aveva preceduto l’inizio del lavoro insieme, conferma del loro essere una famiglia, sia pure diversa da quasi tutte le altre.

Parcheggiò l’auto nella stessa area in cui lo aveva fatto la guida oltre dieci anni prima e lei in tutte le precedenti occasioni: sotto gli eucalipti tra i cui rami si fermò a osservare i koala che si nutrivano pigramente delle foglie o che dormivano sulle forcelle dei tronchi, in quello che a Florence sembrava sempre un precario equilibrio.

Li guardò per qualche minuto, ancora intenerita da quella visione di armonia tra animali e piante, non facile da osservare altrove. Attribuiva alla solo recente presenza diffusa dell’uomo bianco, più consapevole e rispettosa che in luoghi diversi del mondo, la possibilità degli animali di vivere senza gravi condizionamenti. Quanto agli umani che avevano abitato l’Australia per millenni, Florence ne conosceva e apprezzava la rara capacità di coesistere con ciò che la natura aveva messo loro accanto, un’attitudine che poche popolazioni autoctone avevano mostrato con la determinazione degli aborigeni. La faceva rabbrividire il pensiero del prezzo pagato per questo, forse anche più alto, in certo modo, di quello pagato da altre popolazioni che i bianchi avevano sottomesso e sostituito, occupandone i territori.


Osservò una mamma koala stringere a sé il proprio piccolo con tenerezza, senza smettere di masticare le lunghe foglie, portandole alla bocca con le tozze zampe dalle unghie scure. Sorrise e si chinò per controllare che le scarpe sportive fossero ben allacciate, quindi s’incamminò verso il punto in cui iniziava la salita tra le rocce.

Come nelle precedenti occasioni le tornarono nitide alla mente le immagini del film di Peter Weir. Rivedeva le ragazze tenersi per mano, una dietro l’altra, camminando nell’alta erba secca prima di insinuarsi negli stretti passaggi tra le pietre.

Le pareva, ancora una volta, di muoversi con loro, e immaginava di indossare lei pure un candido abito lungo fino ai piedi e di avere i capelli trattenuti da nastri colorati. E alle immagini del film si sovrapponevano quelle delle gite fatte durante gli anni nel collegio svizzero, non così diverse, nonostante i tempi e i luoghi.

Iniziò a salire pensando che a spingerla a tornare a Hanging Rock era proprio il mescolarsi di ricordi reali e di finzione cinematografica, delle suggestioni della vita vissuta e di quelle della fantasia.

Nel percorrere il sentiero, accarezzava le rocce con le mani, non perché avesse bisogno di sorreggersi, ma perché le pareva di essere ancor più parte del luogo toccando la pietra scaldata dal sole, piacevolmente ruvida sotto le sue dita.

Camminava piano, studiando ora una fenditura di forma particolare ora il tronco di una pianta che si contorceva seguendo l’andamento di una roccia per trovare più luce. Dettagli sempre nuovi.

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