domenica 4 settembre 2016

Aurora

Aurora Ascani di Torresecca aprì la porta di casa e entrò lasciandosi avvolgere dal calore pur modesto prodotto dal vecchio impianto installato agli inizi degli anni Settanta nel rustico adagiato di fronte al podere che aveva acquistato quando era tornata in Italia nel 2007.
Non fu necessario invitare i cani a seguirla: Daisy e Pezza, le due femmine, si erano già intrufolate tra le sue gambe e il battente, mentre Astro, il maschio, si affrettava a seguirle, timoroso di restare chiuso fuori, nella spessa nebbia che non voleva disperdersi nonostante il sole fosse ormai alto nel cielo e cercasse di aprirsi un varco nella candida coltre pesante.
Tolto il giaccone imbottito liso e macchiato, Aurora si diresse verso lo studio, oltre la cui grande vetrata si stendeva, indistinta, la campagna piatta.
Seduta alla scrivania, riattivò il computer e scaricò la posta elettronica, scorse i messaggi in entrata, nessuno dei quali meritò attenzione e, dopo aver dato un’occhiata distratta all’edizione on line di un paio di quotidiani, aprì il capiente disco esterno in cui aveva pazientemente travasato cd e vinili collezionati nel tempo e cercò la cartella di John Coltrane. Percorrendo nella nebbia la capezzagna posta al centro della proprietà, tra le riflessioni legate alla morte recente di Filiberto, si era insinuato il ricordo di un brano di straordinaria bellezza, che non ascoltava da tempo: Stellar Regions.
Avviò la riproduzione attraverso l’impianto alta fedeltà collegato al computer e si lasciò afferrare dalla splendida ripetizione di note iniziali, un lamento ossessivo, che poi si dilatava e si faceva più cupo e agitato, prima di ritrovare una parvenza di quiete verso la fine, un’illusione di pace.
Come accadeva spesso quando, come allora, ritrovava dopo alcuni mesi la bellezza inesauribile di un brano come Stellar Regions, Aurora lo riascoltò ancora e poi ancora senza stancarsi, ritrovando anzi nuove ragioni per riprodurlo altre volte.
Sotto il grande tavolo i cani si muovevano appena e il suono delle loro lingue che ripulivano le zampe dalle tracce di terra lasciate dalla passeggiata lo udiva a stento, sovrastato com’era dal sassofono di Coltrane ad alto volume.
Dopo averlo ascoltato una decina di volte, Aurora interruppe la riproduzione e cercò la versione precedente, intitolata Venus, registrata oltre dieci anni prima da Coltrane con il solo accompagnamento della batteria di Rashied Ali. Forse aveva avuto ragione Alice, la moglie di Coltrane, a dare un titolo diverso all’esecuzione in quartetto, cui lei stessa aveva preso parte al piano, quando aveva pubblicato l’album dopo la morte del marito. Il flusso dell’improvvisazione le rendeva in qualche modo diverse, anche se seguivano un percorso simile.
Tornò ad ascoltare Stellar Regions, più essenziale nella durata, più incisiva e più ricca, per la presenza anche del piano e del basso.
Aurora ignorava anche i minimi rudimenti della composizione e non aveva mai neppure tentato di suonare uno strumento. Di tanto in tanto le accadeva di provare un momentaneo rimpianto per questo, ma poi si diceva che ciò non le impediva di apprezzare interamente, a suo modo, la bellezza della musica, di quasi tutta la musica.
Chiuse gli occhi mentre il sassofono di Coltrane ripercorreva, alla fine del brano, il tema iniziale, dilatandolo accompagnato dalle note del piano. Si chiese il perché dei titoli diversi delle due versioni, entrambi apparentemente inadatti. Non si spiegava come la dea della Bellezza o una porzione del Cosmo potessero collegarsi a quelle note a tratti disperate, prigioniere e ansiose di liberarsi da se stesse.
Forse, si disse, sbagliava lei nel guardare ai due pezzi di Coltrane da un punto di vista viziato, presumendo che la bellezza e l’universo dovessero offrire sempre all’uomo serenità e appagamento. Forse, invece, lo mettevano ancor più brutalmente di fronte ai suoi dubbi e ai suoi tormenti.
Cercò con la mano il corpo di uno dei cani tra le sue gambe e l’accarezzò a lungo, dolcemente, sentendone il calore diffondersi in lei. Come sempre.

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