domenica 4 settembre 2016

Filiberto

Filiberto Ascani di Torresecca rientrò nella sauna del circolo sportivo della sua città natale, del quale era socio dalla prima adolescenza. Si arrampicò agilmente sulla panca più alta a destra della porta e si adagiò sul telo di spugna.

Nei suoi quasi sessant’anni di vita, Filiberto aveva visto saune di gran lunga più lussuose e più confortevoli, in alberghi e in case private, eppure, nelle rare occasioni in cui tornava a B., preferiva servirsi di quella, il cui aspetto dimesso, forse anche vagamente decadente, ben si addiceva all’atmosfera del circolo, destinato a inesorabile declino per l’assenza di nuovi soci. Non era la migliore sauna della città, ma era quella del suo club e il suo club, con i men che esigui sistemi di sicurezza, pareva offrire a Filiberto la possibilità di liberarsi per un po’ della presenza dei due guardaspalle: precauzione quotidiana indispensabile, ma sgradevole.
Dopo aver versato alcuni mestoli d’acqua sulle pietre arroventate, tornò a distendersi e chiuse gli occhi. Gli parve di potersi addormentare, ora che aveva mentalmente affrontato e risolto le ultime complicazioni nella trattativa per la fornitura di missili anticarro al governo di uno staterello africano che, quasi certamente, faceva da sponda verso qualche gruppo terroristico mediorientale. Niente di nuovo per lui: ben pochi tra i suoi clienti erano i destinatari effettivi delle merci.
Riaprì gli occhi avvertendo un flusso d’aria fresca percorrergli le gambe. Una figura scura si disegnava controluce nella cornice della porta. Le fiammate e gli sbuffi di fumo che vide gli esplosero nel torace, uno dopo l’altro. Ne contò quattro, poi la sua mente, forse per sottrarsi al dolore, smise di contare e cercò la ragione per cui qualcuno lo voleva morto. E stava per raggiungere lo scopo.
In quarant’anni di attività Filiberto non aveva mai commesso errori, non aveva infastidito nessuno dei suoi concorrenti, si era ben guardato dall’intromettersi in trattative avviate o in rapporti consolidati. Aveva addirittura rapporti amichevoli con alcuni di quelli che facevano il suo lavoro. Solo pochi giorni prima, a Montecarlo, aveva cenato con Arsenij, il Georgiano, nella suite che Filiberto occupava stabilmente all’Hotel De Paris.
“Fanculo!” disse ricordando quando Arsenij, completamente ubriaco, si era addormentato sul divano. Filiberto si era ritrovato da solo con la bionda amichetta del Georgiano, che tanto amichetta non era. Molto alta, con un maestoso seno comperato e splendide gambe forti generosamente esibite. Lei si era mostrata molto più che disponibile. In pochi minuti, dopo gesti inequivocabili, si era spogliata completamente. Filiberto, già molto riluttante, aveva rifiutato seccamente l’offerta: certe stravaganze esotiche non lo avevano mai interessato, anzi.
“Fanculo!” cercò di ripetere Filiberto, ma la voce era impastata dal sangue che risaliva la trachea e riempiva la gola. “Morire perché quello stronzo del Georgiano si vergogna delle sue perversioni.”

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