domenica 4 settembre 2016

Ginevra

Ginevra Ascani di Torresecca fissò il volto della giovane donna che aveva aperto la porta e si rese conto di nascondere a stento il proprio stupore: era come se il tempo, all’improvviso, fosse volato all’indietro di due o tre decenni e lei si trovasse a fissare la propria immagine in uno specchio.
I grandi occhi verdi, il naso non piccolo, ma ben disegnato, gli zigomi evidenti, la bocca appena carnosa. Il tutto racchiuso dalla cornice di capelli castani pettinati semplicemente all’indietro.
La ragazza, osservò Ginevra, non sembrava aver notato la somiglianza tra loro. O, pensò immediatamente dopo, non ne era rimasta stupita perché per lei non si trattava di una sorpresa.
Con un sorriso la giovane donna si scostò per darle modo di entrare in quella che risultò una camera spoglia e priva di finestre, di un candore abbagliante, in cui gli unici oggetti erano un appendiabiti formato da contorti tubi di metallo cromato e un grande quadro astratto appoggiato al pavimento e contro la parete a destra della porta di entrata.
Ginevra si attardò a osservare per qualche istante le grandi macchie di colore che sembravano inseguirsi nel dipinto, con un gioco un po’ scontato di scomposizione e ricomposizione cromatica. Inutilmente cercò di identificare l’autore: la sua conoscenza dell’arte contemporanea era scarsa e superficiale. Diversamente da Filiberto, che aveva amato la musica, la letteratura e la pittura del XXI° secolo, lei aveva deciso che l’inizio del '900 segnava la fine di tutte le manifestazioni della creatività umana, o almeno di quelle degne di attenzione e di apprezzamento.
“Mi scusi… - disse volgendosi verso la ragazza e tendendole la mano - Buongiorno, Florence… Lei è Florence, vero?”
“Si, sono Florence, Madame Ascani - rispose la giovane con un sorriso - Vuole togliere il soprabito?”
“No… non subito - rispose Ginevra ricambiando il sorriso - Non pensavo facesse così freddo a Montecarlo in questa stagione… e poi il vento… mi sono gelata nel camminare dall’albergo a qui…”
“Mi dispiace… venga, le preparo un caffè caldo.”
Si diresse verso la sola altra porta della stanza. Ginevra la seguì ammirando la figura snella e il portamento elegante. Elementi che rafforzavano il sospetto affacciatosi in lei nel vedere Florence pochi istanti prima.
Il locale in cui entrarono era più grande dell’ingresso, assai luminoso grazie a due finestre: il luogo di lavoro dell’assistente di Filiberto. Florence continuò spedita e aprì un’altra porta, oltre la quale si trovarono in un vasto ufficio, anch’esso inondato di luce.
“Possiamo usare lo studio del principale - disse Florence mostrando a Ginevra un divano e due poltrone sul lato sinistro della stanza, il più lontano dalla scrivania - Le preparo immediatamente il caffè.”
Ginevra fu sollevata nel vederla allontanarsi, consapevole che, questa volta, se la ragazza l’avesse osservata, avrebbe notato quanto fosse rimasta sconcertata dall’uso della parola italiana principale. Certo, Florence l’aveva pronunciata con naturalezza, molto spontaneamente, però Ginevra vedeva quella parola un po’ desueta e fredda incunearsi, indebolendola, nella teoria che aveva sviluppato quando se l’era trovata di fronte nell’ingresso.
Pochi minuti più tardi, riscaldata dal caffè, Ginevra si alzò e sfilò il soprabito, consapevole che era arrivato il momento di affrontare gli argomenti per i quali aveva intrapreso il viaggio a Montecarlo.
Florence si alzò dalla poltrona su cui sedeva e si avvicinò alla scrivania per prendere due cartelle di cartone verde.
“Lei pensa di occuparsi della società, Madame? - chiese quando fu nuovamente seduta sulla poltrona di fronte a Ginevra - Ne aveva mai parlato con suo fratello? Ne sa qualcosa?”
“Quasi nulla… solo che si occupa di commercio di armi. Io non ho esperienza di commercio in generale e quello di armi, francamente, mi sembra del tutto inadatto a una donna della mia età e con le mie esperienze… Tuttavia credo sia giusto da parte mia considerare la cosa, anche perché non penso si tratti di una società vendibile facilmente…”
“Ha ragione, non sarebbe facile trovare un compratore e, se lo trovasse, difficilmente spunterebbe un buon prezzo… Mi scusi, la questione non mi riguarda… Ho preparato una relazione per illustrarle l’andamento degli affari e dei conti della società. Ecco, questa è la sua copia.”
Ginevra prese la cartella che le porgeva e l’aprì, mentre Florence faceva altrettanto con quella che aveva tenuto per sé e iniziava a parlare.
Dopo neppure una decina di minuti, Ginevra si rese conto di non riuscire a nascondere l’insofferenza per quello che la giovane donna andava dicendole. Pur apprezzando il modo chiaro e conciso con cui Florence illustrava le vicende della società, Ginevra non era interessata. C’era qualcosa che le premeva di più, molto di più proprio perché nel tempo appena trascorso la sua teoria aveva ripreso vigore e lei si era convinta di avere di fronte la persona giusta per realizzare il desiderio da cui si sentiva nuovamente dominata.
“La sto annoiando, Madame?”
“No, tutt’altro, Florence, apprezzo la sua semplicità e la sua sintesi. Credo, però, che dovremmo parlare di altro…”
La giovane non disse nulla, limitandosi a fissare con espressione divenuta attenta, addirittura ansiosa, la donna in cui vedeva se stessa di lì a vent’anni.
“Si, Florence, è un altro l’argomento di cui voglio parlare con te e che, ne sono certa, anche a te interessa più di ogni cosa - Ginevra le sorrise affettuosamente, poi si fece seria - Mettiamoci al lavoro, dobbiamo farla pagare cara a chi ha fatto uccidere mio fratello gemello, tuo padre.”

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