domenica 4 settembre 2016

Florence

Florence Ascani di Torresecca approfittò volentieri della voglia di giocare di Pezza, che sembrava non stancarsi mai di correre attorno alle sue gambe e di saltare cercando di avvicinare il muso macchiato di bianco al suo volto per leccarlo.
Accovacciata, mentre la giovane meticcia manifestava quasi con prepotenza il suo affetto sbocciato da poche ore, Florence riusciva ancora a osservare lo scorcio che si apriva oltre i filari di vite inondati dal sole dei primi giorni di settembre: davanti a lei, poco più in basso, la piccola chiesa sulla sommità di un rilievo oltre al quale, incorniciata da due colli, si stendeva la pianura velata dalla foschia persistente del tardo mattino.
A fatica, respingendo con garbo Pezza, si mise in piedi e si affrettò sulla ripida salita per raggiungere Aurora e Ginevra che camminavano una accanto all’altra, precedute dagli altri due cani di quella che Florence ancora stentava a considerare una zia, una delle componenti della numerosa famiglia di cui era entrata a far parte ufficialmente dopo l’adozione da parte di Ginevra.
Regolò il passo così da potersi avvicinare a loro potendo osservarle ancora per qualche istante e familiarizzarsi con i movimenti, i gesti, le forme di Aurora, così diversa dalla sorella.
Le procurava un senso di misteriosa emozione poter conoscere meglio quella donna dai modi sbrigativi, decisi, però eleganti, dai quali spesso traspariva una dolcezza inaspettata. Il passare delle ore e dei giorni avrebbe forse fatto svanire quel sentimento, ma Florence pensava che non avrebbe mai smesso di essere stupita dalle piacevoli contraddizioni di Aurora.
Quando fu accanto a loro, si fermò nuovamente e si voltò a guardare il panorama, ansiosa di cogliere nuovi dettagli di quel lembo dei colli di cui le aveva parlato spesso Filiberto, che solo nel descriverle quei luoghi aveva manifestato un legame con i territori della sua infanzia. Un legame profondo, vissuto anche attraverso la passione per i vini prodotti con le uve il cui profumo riempiva le narici di Florence, inebriandola soprattutto di ricordi di quel padre che l’aveva voluta accanto a sé senza mai formalizzare fino in fondo il loro rapporto. Vicini, ma mai realmente intimi. L’uno accanto all’altra quasi ogni giorno nell’ufficio di Montecarlo e in rari viaggi di lavoro, lei e Filiberto non si erano mai concessi nulla più di qualche momentanea e timida affettuosità.
Lei non ne aveva sofferto. Dopo la morte di sua madre, l’uomo che prima aveva visto spesso e intuito essere suo padre, si era preso cura di lei, le aveva fatto completare gli studi prima in un collegio svizzero e successivamente in una piccola, ma prestigiosa università americana, accogliendola infine come assistente nella società di Montecarlo.
Poi la morte assurda e violenta, che lei e Ginevra avevano saputo vendicare senza lasciare traccia, un ricordo non meno crudo e difficile da sopportare, di cui era consapevole di non potersi mai liberare.
“Ho trovato una nipote, ma a quanto pare ho perduto uno dei miei cani - commentò Aurora ridendo quando le ebbe raggiunte - Ti piace questo posto, Florence?”
“Moltissimo - rispose - E’ meraviglioso… non smetterei di guardare la pianura che si apre tra i colli e di respirare il profumo dell’uva matura. Adesso capisco perché Filiberto amava questi luoghi e i vini di Franco.”
“Amava anche quelli di tanti altri produttori…”
“E’ vero, ma non sai quante volte mi è capitato di vederlo discutere con i sommelier di alcuni dei più celebri ristoranti del mondo perché non offrivano i vini prodotti qui.”
“Posso immaginare… - Aurora rise ancora allegramente - Mi sembra di sentirlo… sapeva essere insistente al punto da esasperare l’interlocutore.”
“E’ proprio così, però, quando siamo tornati in qualcuno di quei ristoranti e ha trovato i vini di qui nella carta, l’ho visto felice e ha manifestato gratitudine e soddisfazione quasi altrettanto insistentemente.”
“Ricompensava con grande generosità chi condivideva le sue opinioni… credo che nulla lo gratificasse quanto scoprire di essere riuscito a convincere qualcuno delle sue ragioni.”
Florence annuì, cercando di non lasciare che la commozione prendesse il sopravvento e incrinasse l’atmosfera serena e distesa di quella passeggiata tra le vigne.
Si abbassò per accarezzare Pezza, così da nascondere il velo tenue del pianto. Fece scivolare gli occhiali da sole da sopra la fronte e si raddrizzò, riprendendo a camminare tra Aurora e Ginevra.
Proseguirono in silenzio, come se tutte e tre dovessero rimettere ordine nelle proprie emozioni e attenuare il peso dei ricordi evocati dal breve dialogo.
Raggiunsero il punto in cui la strada sterrata piegava bruscamente a destra e si trasformava in un sentiero stretto e l’ultimo filare di vite si accostava alla boscaglia di robinie.
Florence osservò i grappoli ormai pronti per essere raccolti dagli operai che aveva visto impegnati nella vendemmia poco più sotto. Le ritornarono in mente le descrizioni di Filiberto e fu sicura che si trattasse di Merlot. Quello che Franco trasformava in un meraviglioso vino intenso, racchiuso in una bottiglia scura contrassegnata da una semplice e perciò elegante etichetta nera con tocchi di rosso.

Nessun commento:

Posta un commento