domenica 4 settembre 2016

Aurora

Aurora Ascani di Torresecca sospinse lentamente la sghemba porta di legno percorsa da lunghe fessure tra le assi male accostate. Prima di entrare si girò per controllare che i cani, legati a un paletto a pochi passi dalla baracca di Gilberto, fossero tranquilli. Vederli tutti e tre distesi a terra, visibilmente stanchi per la salita e per il caldo afoso, la rassicurò e la indusse a muovere due passi all’interno della modesta dimora del fratello.
Gilberto sedeva sull’amaca, in una posizione che non gli era abituale, perché mai era accaduto che qualcuno bussasse all’uscio senza essersi annunciato. Gli abitanti del villaggio, prima ancora di battere sulla porta, dicevano il loro nome, evitando così di coglierlo di sorpresa.
La luce intensa del giorno gli impediva di riconoscere la persona che restava ferma e non parlava. Pian piano, a fatica, qualcosa emerse nella memoria, ma non poteva credere di trovarsi di fronte alla sorella più giovane, di cui pure gli sembrava di riconoscere la postura decisa più ancora che le forme.
“Sì, Gilberto… Sono Aurora - disse lei con voce dolce, ma ferma, quasi volesse impedire a qualsiasi emozione di interferire in quell’incontro pianificato con cura -. Posso entrare?”
“Sei già entrata - replicò lui senza riuscire a dare alle sue parole lo stesso tono - C’è una sedia… da qualche parte…”
Aurora chiuse la porta dietro di sé e si avvicinò al fratello, ignorando l’indicazione vaga della mano tremante.
Ferma a meno di un metro da lui, osservò il volto scavato, di un pallore spettrale, al quale neppure i luminosi occhi azzurri riuscivano a dare vitalità. Non poté evitare di pensare che rassomigliava in maniera impressionante a quello di Filiberto, adagiato nella bara di cristallo, visto pochi giorni prima di imbarcarsi sul panfilo a bordo del quale aveva attraversato l’Atlantico per raggiungere il Nicaragua.
“Non sei in gran forma - osservò ancora con voce quasi indifferente - Vivi sempre chiuso qui dentro?”
“Esco solo per occuparmi dell’orto e degli animali, sempre la mattina presto o nel tardo pomeriggio… perché dovrei stare fuori? Dentro posso leggere e guardare fuori dalla finestra.”
“Cosa stai leggendo?”
“Sei venuta fin qui per sapere cosa leggo?”
Aurora scosse la testa cercando di impedirsi di sorridere. Sentire la domanda posta con tono brusco e secco la rassicurava: restava qualcosa dell’altezzosa scontrosità del fratello in quell’uomo smunto, trascurato, apparentemente vinto.
“Sigari - disse porgendo la scatola acquistata la sera prima nella manifattura di cui le aveva parlato un amico -. Credo siano i migliori che si producono a Granada.”
“Grazie - lui la prese con la mano e la osservò per pochi istanti, posandola subito sul tavolino -. Hanno imparato a farli davvero bene negli ultimi anni… Ho sentito dire che c’entra un italiano.”
“Infatti… Si chiama Sgroi e dicono che stia facendo un ottimo lavoro.”
“Non sono molti gli italiani che hanno avuto successo da queste parti.”
“Lui lo avrà cercato con un po’ di determinazione e di convinzione.”
“Non mi serve il tuo aiuto per sapere che non ho concluso gran che, Aurora - disse Gilberto alzandosi faticosamente in piedi -. Vuoi bere qualcosa? Ho acqua relativamente fresca e posso farti un caffè o un the…”
“Un caffè, grazie.”
Aurora lo osservò mentre si muoveva piano dall’amaca al fornello a gas posato su un mobile di legno grezzo. Pur preparata, l’aspetto di Gilberto e la miseria del luogo in cui viveva la turbavano profondamente, insinuando un senso di doloroso sconforto nell’indifferenza che si era imposta di provare nel momento in cui, all’improvviso, aveva sentito il bisogno di recarsi in Nicaragua per incontrarlo.
Lo seguì e lo osservò mentre metteva la polvere in una vecchia Bialetti priva del manico. Non poté evitare di chiedersi come fosse arrivata fin lì quella caffettiera, poi si concentrò su un argomento più importante e più urgente.
“Hai un recipiente in cui possa dar da bere ai cani?”
“I cani?”
“Sono venuti con me… i miei tre cani…”
“Falli entrare, moriranno di caldo lì fuori al sole! Perché li hai lasciati fuori?”
Lei si strinse nelle spalle, senza riuscire a nascondere la mortificazione suscitata da quel rimprovero giustificato e inaspettato.
Prima di uscire, timidamente, sfiorò con la punta delle dita la spalla sinistra di Gilberto e sentì un tenue, ma piacevole tepore sotto la fibra lisa della camicia che copriva il corpo ossuto.

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